Venerdì mattina 11 novembre, al teatro Balbo di Canelli, un’assemblea di oltre quattrocento persone, coltivatori di uva Moscato, in gran parte giovani e competenti produttori, ha dimostrato di saper esprimere chiaramente e senza trascendere le proprie idee.
L’assemblea, fortemente voluta e abilmente gestita dall’assessore regionale Claudio Sacchetto, ancora una volta, ha affrontato il caso dell’immissione del territorio di Asti, fra gli altri 52 Comuni del Moscato d’Asti docg.
Dopo i saluti del sindaco Marco Gabusi, il presidente del Consorzio Paolo Ricagno, chiede che l’assemblea accetti l’ingresso del territorio di Asti nell’area del Moscato d’Asti, anche per evitare il danno che ne potrebbe derivare alla denominazione stessa da parte di un eventuale ricorso a Bruxelles. Ricagno si è detto disponibile a chiedere alla Regione la sospensione delle iscrizioni fino a marzo – giugno».
Giovanni Satragno, premesso che i produttori non sono “né oltranzisti, né separatisti”, e quindi sono «disponibili a cambiare e far entrare Asti nei Comuni del Moscato d’Asti, ma non con questo sistema. Aprire ad Asti potrebbe aprire una breccia pericolosa che, a macchia d’olio, aprirebbe agli altri numerosi Comuni che già si stanno facendo avanti». Sulla questione dei diritti di reimpianto ha concluso che «non si tratta di una questione solo economica, ma soprattutto di giustizia. Oggi il terreno da Moscato è quotato anche 5 euro al mq. Il tutto dovrebbe finire a chi produce. Non è giusto finisca, gratis, a qualcuno».
Il brevissimo e storico intervento di Vittorio Gancia ha praticamente chiuso ogni discussione. Richiamandosi “all’errore” del nonno Camillo che, nel 1905, cancellò il nome ‘Moscato – Champagne’ sostituendolo con ‘Spumante Asti’, ha avanzato la concreta quanto provocatoria proposta che «qualora si dovesse cambiare denominazione, l’unica soluzione è quella di ritornare a chiamarlo, almeno per qualche anno, ‘Moscato Asti docg Canelli’, poi i consumatori si abitueranno e ‘Asti’ si potrà tranquillamente cancellare». Gli applausi non finiscono più.
Soave della Coldiretti e Ricagni della Cia hanno fatto fronte comune negando l’apertura ad Asti o a nuovi concessioni di impianto.
La Confagricoltura, in caso di parere negativo della filiera (unanime ed evidente), farà sua la posizione dei produttori.
Per il vicesindaco di Asti, Sergio Ebarnabo, un’area più ampia e dagli interessi omogenei sarebbe vantaggiosa per tutto il comparto.
Tra i giovani, in evidenza l’intervento di Ignazio Giovine, che, a nome della ‘Muscatellum’ (l’associazione, nata 10 anni fa a Canelli, conta settanta imbottigliatori agricoli, e non, di Moscato d’Asti) ha sottolineato come il senso di responsabilità richiesto alla parte agricola andrebbe ribaltato a chi blocca il percorso di approvazione del nuovo disciplinare. E poi, perché non discutere dell’inserimento di Asti dopo l’approvazione definitiva del disciplinare?».
Il sindaco di S. Stefano Belbo, Luigi Icardi, riferisce che non sono pochi i produttori, soprattutto anziani, che stanno vendendo il terreno con diritto di reimpianto a 4/5 euro al mq, con la possibilità di smottamento idrogeologico. Quindi più che ampliare conviene tutelare il territorio, soprattutto quello dei surì.
Da non sottovalutare l’intervento, per nulla fuori posto, di Luciano Manzo che, rifacendosi ad Antoine Exupèry, ha invitato tutti a riflettere sul fatto che “Tutti i grandi della terra sono stati bambini”.
L’assemblea si è conclusa con l’assicurazione di Sacchetto, per cui “la Regione prenderà atto della volontà sovrana dei produttori e opererà di conseguenza”.