«Aumentare gli ettari di vigneto a Moscato, non iscritti a doc e docg, per aggredire quei mercati che da tempo sono al centro di interessanti flussi commerciali. E il Piemonte, che detiene il primato del miglior moscato bianco del mondo e ha il know how per coltivarlo meglio di altri, non può e non deve restare fuori da questo business».
A qualche settimana dalla prima riunione della commissione paritetica sul moscato, il direttore di Confagricoltura Asti, Francesco Giaquinta, rompe gli indugi e parla esplicitamente di uno dei temi che stanno agitando il mondo del moscato piemontese: la necessità di sfruttare nuovi settori commerciali con nuove tipologie di prodotti.
Giaquinta cita i dati dell’ufficio studi della sua organizzazione e dice: «Nel mondo ogni anno si vendono 500 milioni di bottiglie di vino dolce a base Moscato. Il Piemonte ne rappresenta solo il 20%. Gli altri 400 milioni sono appannaggio di produttori mondiali e italiani non piemontesi. È una situazione rischiosa. Bisogna intervenire». Ma come? Il direttore di Confagricoltura Asti ipotizza l’apertura di coltivazioni a moscato non doc e non docg. «Se ne è parlato al comitato vitivinicolo – dice Giaquinta -. Del resto – aggiunge – produttori, industriali e vignaioli sanno bene che la crisi economica sta colpendo duro anche questo comparto. Ci sono state riduzioni di volumi.
Molti produttori e lo stesso Consorzio di Tutela si stanno attrezzando per recuperare trend e fette di mercato. In parte ci stanno riuscendo. Tuttavia resta il nodo del reddito agricolo che non può e non deve subire contraccolpi». Il direttore di Confagricoltura Asti cita anche una recente indagine pubblicata su alcuni quotidiani nella quale si riferisce del rischio di perdere tra i 9 e i 18 mila ettari di vigneto qualora le quote export non dovessero aumentare. Sulla sfondo c’è la crisi del consumo di vino sul mercato nazionale, effetto diretto della contrazione del potere d’acquisto della famiglie italiane.
In questo senso il direttore di Confagricoltura Asti si dichiara convinto che un aiuto possa arrivare dallo sfruttamento di quelle aree di mercato che fino ad ora non sono state esplorate o lo sono state solo marginalmente dal moscato piemontese. E osserva: «La “moscatomania” negli Usa non è scomparsa e anzi sta facendo segnare punti e volumi interessanti a favore di prodotti a base moscato vinificati negli Stati Uniti o importati da altre parti d’Italia e del mondo. Il Piemonte è escluso o solo in minima parte coinvolto in questo fenomeno. Un vero peccato a cui – sostiene Giaquinta – si può porre rimedio dando la possibilità alle aziende agricole di piantare nuovi vigneti di moscato (ma anche brachetto) non doc e non docg destinato a produzioni diversisificate, dai vini comuni alle basi per spumanti. Nulla a che fare con i vini doc e docg – avverte il direttore di Confagricoltura Asti -, ma l’operazione consentirebbe ai piemontesi del vino di essere giocatori titolari in partite che, per ora, li vedono sostanzialmente restare in panchina».