>> Intervista al radiologo ovadese Maurizio Mortara sull’Afghanistan

In Afghanistan ogni giorno un bambino esce dalla sua povera casa e non ne farà più ritorno perché morirà ucciso da una mina antiuomo di cui il territorio afghano è disseminato. Può anche morire, però, se disgraziatamente vive in uno di quei villaggi dove l’intelligence occidentale ha scovato dei guerrieri (o presunti tali) talebani: l’aviazione militare penserà a bombardarlo e siccome le bombe non sono mai intelligenti la distinzione tra terroristi, civili, e quindi tra di loro anche bambini, non è possibile e le conseguenze saranno letali per tutti.

Se il bambino in questione è più “fortunato” perderà l’uso delle gambe o delle braccia e a cercare di recuperare quello che si può ci penseranno uomini votati alla pace piuttosto che alla guerra: sono i medici e gli operatori sanitari volontari che si ritrovano ad operare lontani da casa e dalla propria cultura.

Abbiamo incontrato uno di loro durante l’edizione 2010 delle settimane della cultura organizzate dal Comune di Cogoleto: è il dottor Maurizio Mortara, radiologo dell’ospedale di Ovada, volontario in Afghanistan per sei mesi presso gli ospedali di Emergency e poi per l’onlus Volunteers, che in questa occasione ha presentato il suo libro “Afghanistan: dall’altra parte delle stelle”.

AFGHANISTAN DALL'ALTRA PARTE DELLE STELLE DI MAURIZIO MORTARASi deduce dal titolo del libro che il riferimento non è certamente quello puramente geografico.
“Appunto. Il libro parla della mia esperienza di operatore sanitario volontario in Afghanistan e con la frase ‘dall’altra parte delle stelle’ ho voluto indicare quella realtà che non viene detta riferendosi a questa terra”.

Eppure di Afghanistan si parla molto, purtroppo anche per le morti recenti dei nostri soldati.
“Come tutti sono dispiaciuto per queste morti, però i mass-media non parlano mai dei civili che ogni giorno muoiono per i bombardamenti oppure perché vittime di quegli ordigni micidiali che sono le mine antiuomo lasciate dall’Armata rossa durante la guerra con i Mujaheddin del generale Massud: quando un padre piangendo porta in ospedale il suo bambino ferito si avrebbe il desiderio che l’attenzione fosse rivolta anche alla sofferenza di queste persone”.

Quindi la soluzione sarebbe forse il ritiro delle truppe.
“Anche questo è sbagliato perché il ritiro totale delle truppe occidentali farebbe precipitare ancor più l’Afghanistan in una guerra civile: i Mujaheddin sono nemici dei Talebani e non aspettano altro. Quello che si potrebbe fare è un approccio diverso e comprendere che più che ‘bombe intelligenti’ per conquistare la fiducia della gente bisogna costruire ospedali e aiutare la popolazione con tutti i beni necessari per una vita quanto più vicina alla pace. Non si può pensare che Obama, tra l’altro premiato con il Nobel della Pace, abbia deciso di inviare altri 30.000 soldati in prima linea e che con il costo di quest’operazione, stimata intorno ai 210 milioni di dollari all’anno, si potrebbe fare qualcosa di veramente intelligente piuttosto che bombardare. Questo lo dico perché alle volte siamo costretti a fare delle scelte tragiche quando ci arrivano in ospedale due bambini gravissimi e abbiamo a disposizione una sola macchina per l’autoventilazione”.

I nostri militari come si comportano?
“Non ho avuto modo di aver contatti con le nostre truppe se non in occasione di un passaggio su di un aereo militare: ero con altri 140 ragazzi dal volto serio e preoccupato per quello che avevano lasciato in Italia. Il loro desiderio era quello di guadagnare per portare a termine i loro progetti e cioè sposarsi o mantenere una famiglia. Nessuno di loro, attraverso i discorsi, si è mai atteggiato a Rambo e se qualcuno lo fa è la classica mosca bianca”.

Com’è che da Ovada è arrivato in Afghanistan?
“Ho risposto alla richiesta di operatori da parte di Volunteers a Milano. Ho avuto un colloquio con loro e dopo solo 15 giorni mi hanno comunicato di essere stato scelto. Alla base di tutto, però, c’era la mia ferma volontà di fare qualcosa di concreto lontano dalla nostra realtà (l’altra parte delle stelle) e l’esperienza, prima a Kabul e poi nel sud dell’Afghanistan dove la situazione è decisamente peggiore, mi ha arricchito umanamente. Ho sentito il desiderio di descrivere questa mia esperienza in un libro, i cui proventi andranno per intero alla realizzazione di progetti umanitari per l’Afghanistan, soprattutto per smuovere l’opinione pubblica che di questi argomenti ne è all’oscuro”.

I più giovani sono interessati a questa realtà?
“Qui devo assolutamente smentire un luogo comune che vuole i giovani privi di ideali: in qualunque scuola o università in cui ho tenuto una conferenza, al termine essi stessi mi espresso il loro desiderio di attivare una raccolta di fondi per l’acquisto di macchinari. Penso che chi non ha ideali e non ha a cuore la sorte di persone che vivono ‘dall’altra parte delle stelle’ non si adopererebbe per un aiuto che non sia il più possibile concreto, al di là di qualunque discorso ideologico”.

(Maurizio Piscitelli  – Il Letimbro)

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