Dal lavoro del vignaiolo di collina alla valorizzazione del Barbera

DSC03519La Confederazione italiana agricoltori di Asti ha organizzato, venerdì mattina 11 settembre, nel vigneto di Cascina Perno dei Poderi Rosso di Agliano Terme, “Vigna aperta, all’origine del vino”, un incontro con gli operatori della comunicazione e con i cittadini, in una delle zone maggiormente vocate alla coltivazione del vitigno Barbera.

Si è trattato di una sorta di primo esperimento di comunicazione di un progetto più complessivo che la Cia di Asti intende, come ha annunciato il presidente provinciale, Alessandro Durando, mandare a compimento il prossimo anno con una serie di “visite” ai vigneti nelle aree di produzione non solo di Barbera, ma anche di Moscato, Grignolino e Freisa. “Un modo – ha affermato Durando – per far conoscere a giornalisti e consumatori il mondo di lavoro e di impegno professionale che sta dietro un filare di uva e, di conseguenza, ad una bottiglia di vino.

Se la flavescenza dorata è un dramma per ogni viticoltore, lo sono in pari misura l’aleatorietà del clima e dei mercati. Fattori che condizionano fortemente la dimensione economica delle nostre aziende viticole e che richiedono la massima attenzione non solo da parte delle istituzioni ma anche di tutti coloro che ogni giorno si soddisfano con un buon bicchiere di vino”.

Testimone di una condizione che richiede passione, coraggio e professionalità è Lionello Rosso, titolare degli omonimi Poderi, trentaseienne “figlio d’arte” che conduce, dal 1999, un significativo numero di ettari ad Agliano Terme quasi tutti a Barbera. “Un lavoro impegnativo – ha detto – che ha richiesto e richiede tuttora un’attenta analisi del mercato e l’assoluta necessità di tenere il passo con i tempi che cambiano. Ad Agliano questo è stato possibile anche grazie al fatto di essere riusciti ad unire le forze di numerose aziende, non solo vitivinicole, per dare un senso concreto al termine “terroir” di cui in molti parlano ma che pochi praticano. In questo modo organizzeremo ai primi di ottobre la seconda edizione di “Barbera&Fish” che sta riscuotendo un notevole successo di pubblico e di promozione nei paesi del nord Europa”.

Del lavoro del vignaiolo alla ricerca della “qualità diffusa” delle uve ha parlato il tecnico agronomo della Cia, Elsa Soave, che ha sottolineato la necessità di saper scegliere prima di tutto i giusti terreni attuando poi tutte le pratiche necessrie per avere da ognuno di questi terreni il vino che più loro si attaglia senza voler forzare, in quantità o in ricerca di gradazioni, situazioni che alla fine si rivelano controproducenti. “La qualità è dunque – ha affermato – una variabile che deve trovare attuazione concreta caso per caso e con un occhio sempre rivolto al mercato”.

Uno sguardo al presente prevedendo il futuro è stato quello dell’enologo Giuliano Noè, “padre” storico di molte tra le più note barbere in commercio, che, dopo aver assegnato l’eccellenza alle barbere dei Poderi Rosso (“ma questa è una situazione che ho verificato quasi dappertutto quest’anno con prospettive di un’annata vinicola davvero eccezionale”), ha lanciato una seria provocazione sul futuro della barbera, considerata come “un vitigno ineguagliato e ineguagliabile al mondo”. “Si parla di questi tempi troppo di vino e molto poco di vigneto – ha affermato Noè – cosa che sovente impedisce di capire esattamente dove stiano gli evidenti problemi del mondo della barbera. Ogni vitigno deve dare il vino che è in grado di produrre e non altro.

Quindi, assolutamente condivisibile è la ricerca della qualità, ma solo se riferita ai diversi livelli di consumo a cui si può ragionevolmente tendere. In relazione alla straordinaria “plasticità” dell’uva, bisogna dunque avere una grande Barbera da bere tutti i giorni, una da grandi occasioni e magari anche una da assoluta meditazione. Oggi invece siamo di fronte ad una grande confusione di immagine per cui la Barbera diventa difficilmente identificabile dal consumatore con il risultato che da un potenziale di circa 100 milioni di bottiglie, oggi riusciamo a malapena ad imbottigliarne, tra tutte le tipologie, la metà”.

La soluzione, che potrebbe avere sviluppi assolutamente interessanti, a fronte di radicali cambiamenti di programmazione e dell’attuale sistema di commercializzazione, starebbe nel puntare decisamente sulla Doc Piemonte Barbera, destinata ad essere un vino fresco, profumato, di pronta beva, quotidiano, riducendo di conseguenza le attuali quote di Barbera d’Asti docg, destinata a diventare, nelle sue due tipologie, una vera e propria selezione da amatori “acculturati”.

“Un quadro complessivo – ha concluso Noè – che ha l’obiettivo di far salire il valore complessivo del prodotto e ad accrescere il vantaggio economico del produttore agendo sul fattore rese, da modificare rispetto a quelle attuali, tanto da renderle più vicine alla realtà produttiva naturale di molti vigneti. Fissare a 90 quintali quelle dell’Asti ed a 140/150 quelle del Piemonte non mi sembra un’eresia. Vale la pena di pensarci seriamente”. (Paolo Monticone)