Continua la tradizione del “Canté j’euv”

La storia della suggestiva ed emozionante tradizione del “Canté j’euv”, in disuso negli anni Cinquanta, sta riproponendosi, nel periodo quaresimale, grazie ad abili cantori come i Pijtevarda che da circa un ventennio si esibiscono nei luoghi depositari delle tradizioni, come nell’agriturismo ‘Rupestr’, sabato 18 marzo, e a Calosso, mercoledì 29 marzo.

«Suma partì dal nòstre cà, cha l’era la prima séira per amnive a salité e deve la boina seira”.

“Boina seira, sur padròn e a tuta la gent ‘dla cà; suma annì a canté e suné per feve la serenata”.

Dalle prime due strofe l’antica ‘cantata’ rilascia folclore, musica, canti, goliardia e amicizia, a piene mani.

Il vivace gruppo passava, anche a notte fonda, nelle aie delle cascine, dove, con il canto della terza strofa, riceveva l’invito “Se lur i vòlu cha cantu e nui cantuma, se vòlu nen cha cantu e nui s’an’andùma”.

Normalmente i padroni di casa accettavano l’invito e i questuanti proseguivano “O, dene dene ‘d j’euv, ma d’la galeina bianca; i vostri ausin an disu che chila a l’è mai stanca (produce tante uova) e ch’a j’ei el gorbe peine».

Ed ecco che la massaia, dalla cucina usciva a depositare nella ‘cavagna’ (cesta) la mezza dozzina di uova. A volte, il gruppo veniva anche invitato in cantina a bere un buon bicchiere di vino e a degustare, insieme, genuine fette di salame, fatto in casa. Ma la canzone poteva, anche, non terminare lì.

Se le uova non arrivavano, partiva il canto della maledizione indirizzata al raccolto e agli animali “Auguruma ‘nt sa ca, di ch’ai sia, ‘na gran sicin’-a e a jè scheisa ‘a cresta al gal e ‘l cù a la galeina”.

E non mancavano neanche strofe ritagliate, con scherzi, motteggi, rime galanti, per le ragazze da marito, con una parola di conforto per vedovi e vedove con l’augurio di potersi presto risposare o un invito al capo famiglia a non comportarsi da avaro. Tra le rime: “An custa cà a j’è ancura na tota, restà da marié ma, se la vardi ben, a smia na matota”.

“Canté j’euv”, tra il canto e la teatralità, era (e ricomincia) portata avanti da gruppi di giovanotti ed arzilli anzianotti che, ben attrezzati con fisarmoniche, tamburi, clarinetti, inscenavano durante le serate di Quaresima per raccogliere una bella collezione di uova, utilizzate per grandiose frittate, o vendute per pagare la festa dei coscritti oppure consegnate al parroco in occasione della benedizione delle case.