>> Mille euro a testa per tentare la fortuna?

Se n’è scritto a più riprese. Ma non basta mai. Perché questa – come ha denunciato a Capodanno il card. Bagnasco presidente dei vescovi italiani – è “una piaga, una nuova forma di droga da cui bisogna guardarsi con estrema determinazione e con grande consapevolezza”. Ovviamente si tratta delle varie forme di ricorso alla fortuna, all’azzardo nel gioco, alla lotteria che elargisce somme da sogno. In tempi di crisi sembra che l’affidarsi alla dea bendata sia una spinta in crescita, sperando nel colpo grosso, a dispetto di tutte le precarietà quotidiane.

Inutile ricordare e ricordarsi che comunque di sicuro vince il  banco. Lasciando i giocatori in larga misura con un palmo di naso e con le tasche ancora più vuote. A meno che ci si ritrovi nella cerchia appunto dei più fortunati (che sembrano sempre… altri, inarrivabili). Intanto nel 2011 il mercato dei giochi pubblici in Italia ha racimolato la bella cifra di 76 miliardi di euro, con un segno più del 23,9% a fronte dei 61,5 miliardi spesi al gioco nel 2010. Certo 54,8 miliardi sono rientrati a disposizione degli italiani sotto forma di vincite. Ma la spesa reale è stata di 21,4 miliardi. E l’Erario ha visto aumentare i suoi incassi del 5,7%.  Ma il dato che impressiona è quello che assegna ad ogni connazionale la spesa media di mille euro pro capite tra scommesse, concorsi e giochi online.

Diciamocela tutta: una enormità! Certo, di mezzo ci sono anche aspetti patologici, come la compulsività nel giocare, al limite di un’ossessione. Ma intanto si è di fronte ad un fenomeno molto, troppo allargato. E non può essere lasciato debordare, senza freni. Indubbiamente c‘è un’azione di ripensamento e di convinzione che parte dal di dentro, per ricomprendere che la vita va interpretata come un impegno serio, giorno dopo giorno, e non come una scacchiera su cui scommettere all’impazzata tentando la fortuna appunto. Forse in casa, in famiglia, tra amici… occorre rimettere a fuoco questa inclinazione che scivola rapidamente nella dipendenza. Qui la questione diventa etica, anzi umana. Va affrontata. Non va incentivata o  sfruttata.

Una prima contromisura, già a livello politico-gestionale della nostra società, viene suggerita su “Avvenire” dall’economista Luigino Bruni: “Come mai, ad esempio – scrive -, non si estende ai giochi d’azzardo (Poker Tv, scommesse online) la proibizione della pubblicità che vige per il tabacco? Le dipendenze sono simili, e gli effetti di queste nuove dipendenze sono oggi forse più gravi. Perché poi non pensare anche a forme di ‘obiezione di coscienza’ da parte di quei campioni che potrebbero rifiutarsi di fare da testimonial in tali pubblicità?”.

Insomma ci vuole un’idea meno aleatoria dell’esistenza e pure ci vuole un po’ di previdenza per evitare andazzi depistanti tra la gente. Ma bisogna anche incentivare una intelaiatura interiore in controtendenza, senza comprometterla a piccole dosi, con la complicità di chi pensa che comunque questo giocare alla grande poi faccia comodo. A chi?  (Corrado Avagnina)

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