Pubblichiamo un dotto intervento di Gianluigi Bera, storico e noto produttore vinicolo canellese, che la rivista Barolo & Co. ha edito nel dicembre scorso: «“Una serie di Comuni contigui appartenenti rispettivamente alla tre regioni dell’Astigiana, dell’Alto Monferrato e delle Langhe costituiscono nel loro insieme una zona che, a buon diritto, può chiamarsi “zona del Moscato…..”. Così nel 1895, Arnaldo Strucchi e Mario Zecchini, in una monografia dedicata al Moscato di Canelli definivano per la prima volta ed in modo impeccabile l’area che molto più tardi sarebbe diventata la patria dell’Asti e del Moscato d’Asti d.o.c.g. I due autori avevano già capito che un vino di pregio non può mai essere disgiunto dalle terre da cui nasce: da esse, come la vite ne succhia gli umori e le linfe, ne assimila memorie, suggestioni, tradizioni, carattere, cultura.
Se il Moscato d’Asti e l’Asti rappresentano ormai il “genius loci” delle zone da cui provengono, a loro volta tali zone sono il presupposto principale alla loro unicità ed irripetibilità. Parliamo di “zone” al plurale perché non si può conoscere il Moscato se non si assimila prima questa fondamentale nozione: la sua area di produzione è “trinaria“ ed è costituita da considerevoli porzioni di tre fra le principali sub-regioni enoiche e storiche del Piemonte, cioè l’Astesana, le Langhe e il Monferrato, che in essa si incontrano e dialogano senza rinunciare alle rispettive peculiarità. In questo meraviglioso trittico di personaggi, di memorie, di culture, Canelli è proprio nel mezzo, ombelico, fulcro, anello di congiunzione, avamposto di frontiera e “porta del Mondo” per usare una celebre espressione di Cesare Pavese.
Per secoli qui si intersecarono confini funestati da guerre incessanti, ma anche rotte di transito e di importanti percorsi commerciali. Poiché le frontiere separano ed uniscono in egual misura, Canelli ha visto per secoli lo scontro ed il confronto tra le genti ed ha fatto in modo che la seconda attività potesse comunque sempre prevalere sulla prima. Se questo è vero per la storia e per la geografia, per il Moscato e per l’Asti il discorso si ribalta completamente e Canelli diventa elemento generatore, luogo magico dove tutto ha avuto inizio, “alma mater” di questi due vini. Andiamo con ordine: il Moscato arrivò in Piemonte nel XIII secolo, e si diffuse ben presto in tutta la Regione, sia pure in quantità inizialmente modeste.
Nel Quattrocento emergevano già le prime aree pregiate: non solo Astesana e Monferrato, ma anche Saluzzese, Pinerolese, Langhe etc. Tra sedicesimo e diciassettesimo secolo i Duchi di Savoia consolidano le fortune del Moscato di Canelli e di Calosso scegliendolo per le proprie tavole; anche personalmente, come fece Carlo Emanuele I nel 1625 visitando le cantine dei produttori per rifornire la sommeglieria di corte; i nemici Gonzaga, Marchesi di Monferrato, si rivolgono a Nizza e Santo Stefano Belbo per la stessa ragione.
A partire dalla fine del XVII secolo si innesca un particolare fenomeno: mentre in tutto il Piemonte la coltivazione del Moscato rimane stazionaria, o decresce fino a scomparire, a Canelli aumenta in misura esponenziale. Merito, sicuramente, di più razionali tecniche di vinificazione elaborate in loco e anche di maggior intraprendenza commerciale. Nel 1753 l’Intendente delle “regie Finanze” in visita a Canelli può scrivere che il Moscato è ”… lo maggior frutto di queste terre, qual riesce dilicato dolce e perfetto, stante massime l’Industria delli abitatori……” parole e date fatidiche, che sanciscono l’ormai avvenuta trasformazione di Canelli da semplice cittadina agricola a centro enologico d’importanza europea.
Il Moscato diventa la vita stessa della comunità, quando a partire dalla fine del Settecento nascono e si moltiplicano le prime industrie imbottigliatrici, moltiplicando i posti di lavoro e la popolazione residente, caratterizzando in modo indelebile l’economia, l’urbanistica, la società canellese. Nel 1895 nel solo Comune di Canelli si coltivava la metà di tutto il Moscato esistente in Piemonte e se ne imbottigliava e commercializzava la maggior parte. Nel XX secolo le fortune internazionali dell’Asti comportarono l’ampliamento della zona di origine, giunta ad interessare ben 52 Comuni tra Astesana, Langhe e Alto Monferrato.
Ma Canelli può vantare ancora, e a buon diritto, il titolo di “capitale dell’Asti e del Moscato d’Asti” nessun altro centro le può opporre altrettanta storia, altrettante tradizione, altrettante prestigio. Una ricchezza assai poco sfruttata, poco o punto esibita, conformemente al carattere della sua gente che sembra rifuggire ogni forma di ostentazione e di retorica; ma una ricchezza completa e solida con cui tutto il mondo del Moscato e dell’Asti non può evitare di confrontarsi, e a cui non può fare a meno di attingere.
A sua volta Canelli non poteva rinunciare al ruolo di chiave indispensabile per aprire quello scrigno di tesori (ambientali, culturali, enogastronomici) rappresentato dalle terre dell’Asti, o se si vuole, al ruolo di magico crocevia dove le stesse terre si incontrano, hanno inizio o completezza, si definiscono e, a volte, si fondono nello stesso calice di nettare prezioso. E’ da simili presupposti che è maturata la volontà di enucleare, all’interno del vasto areale di produzione del Moscato d’Asti, una zona d’eccellenza in cui il nome della capitale costituisse non solo la menzione di superiori livelli qualitativi, ma anche e soprattutto un richiamo diretto, ufficiale e riconosciuto a quella storia e a quella tradizione che proprio da Canelli presero avvio, e che proprio in Canelli conobbero i fasti più prestigiosi e lasciarono le memorie più tangibili.»