Un ricordo di monsignor Vittorio Croce direttore della Gazzetta d’Asti

Non lo si può definire un fulmine a ciel sereno, chi lo conosceva e lo frequentava già da alquanto tempo aveva notato un decadimento fisiologico che tuttavia gli aveva risparmiato quell’acutezza mentale e profondità di contenuti tali da considerare sempre una piacevole esperienza intrattenersi con lui. Così monsignor Vittorio Croce, tra le altre cose direttore da 44 anni della Gazzetta d’Asti, se n’è andato. Andato, si badi bene e non ritornato, alla casa del Padre come talvolta, in questi casi, sostiene la tradizione popolare suffragata anche da espressioni linguistiche tollerate in ambito ecclesiastico che in tal maniera farebbero intendere di una creazione spirituale gravata in seguito da un manto di materia dal quale l’uomo doverebbe liberarsi per ritrovare il suo stato di purezza primigenia. Così mi fece appunto notare un giorno il Vittorio Croce teologo durante una delle tante piacevoli, ma mai banali, conversazioni con lui intrattenute; egli, spiegò, che paventava in simili espressioni un varco accessibile alla Tentazione gnostica che accomuna il dualismo del Bene e del Male a quello dello Spirito e dalla Materia.

Fu questo soltanto uno degli argomenti di discussione con cui ci intrattenevamo quando passando per Asti non mancavo mai di fargli visita; molti discorsi erano di altro tenore e complessità, e di argomento ora serio ora faceto. Tutti comunque caratterizzati da una sua profonda conoscenza della materia trattata, che spaziava particolarmente in ambito umanistico: lingua, storia ed arte anche nei loro aspetti locali: piemontesi ed astigiani in particolare nei quali, eccellendo, ha lasciato anche tracce importanti nella bibliografia.

Arduo dunque tratteggiane sia pure sommariamente le caratteristiche dell’ormai personaggio consegnato alla storia, per lo,meno locale, al pari di tanti altri di cui ha trattato. È stato questi persona di grande intelligenza supportata da pari cultura amalgamate da doti umane che gli permettevano di adeguarsi in ogni occasione all’interlocutore ed intrattenersi con esso con il discorrere più adatto a trovare il punto d’incontro tra le personalità di entrambi; un dialogare composto con frasi semplici ed acute pronunziate bonariamente e mai, almeno nella consuetudine, ex cathedra come avrebbe avuto titolo. Da queste premesse qualunque cosa, e come la, si dica di lui si finirebbe con lo sminuirne la figura la cui complessità è difficilmente semplificabile in rigide categorie.

Ne ho avuto modo di approfondire la conoscenza dagli inizi degli anni ‘90 insieme ad un altra personalità di rilievo anch’essa già dipartita per l’estremo viaggio: don Franco Cartello, quando erano anima del Settimanale diocesano.

Avevo cominciato, allora, ad accarezzare nuovamente un desiderio perseguito, e poi momentaneamente accantonato, vent’anni innanzi: quello di millantarmi giornalista senza mai immedesimarmi, o volermi immedesimare, troppo in tale veste per quel mio amare oltre la sostanza delle cose, in questo caso argomento della notizia, anche forse eccessivamente la sua forma, nella fattispecie esposizione, eccedendo in una oggi desueta retorica inoltre aborrita da tutto il consesso di coloro che han fatto dell’informazione un lavoro forse una missione.

È cominciata così una collaborazione durata trent’anni nel corso della quale vanamente il “direttore” cercò di introdurmi in quell’arte che, rifuggendo cornici e preamboli più o meno pindarici, mira al cuore dell’argomento, finendo poi con l’accettarmi così com’ero. Parallelamente nacque una duratura amicizia fondata su ambiti di interesse comuni: argomenti vari sui quali si discuteva e si scambiavano opinioni in una conversazione con me davanti alla sua scrivania ed egli sul lato opposto che, senza mai smettere di esaminare comunicati, notizie ed pagine di giornale sempre riusciva comunque a condurre brillantemente la conversazione anche nel caso in cui gli argomenti trattati richiedessero la massima concentrazione. È stata una consuetudine piacevole alla quale presto mi abituai e che già una volta temetti di dover abbandonare quando per la Curia circolò una voce fondata di una sua futura nomina episcopale in altra diocesi.

Ora una nomina gli è giunta: irrinunciabile. Mi piace quindi immaginarlo nell’accettarla sotto quei Cieli ed in quella Terra nuovi un po’ sperando che riguardi l’organizzazione della redazione di una Nuova gazzetta forse insieme a quei collaboratori che là lo hanno preceduto dove, se mai mi riuscirà di raggiungerlo senza prima perdermi per un altra strada, desidererei conservasse un posto anche per me. (Domenico Bussi)