In questi giorni è vivace il dibattito a proposito dei progetti di realizzazione di impianti fotovoltaici di grandi dimensioni da realizzarsi a terra in aree agricole e su terreni fertili e vocati a produzioni di pregio.
A preoccupare sono la sottrazione del suolo agricolo, l’impatto ambientale, la tutela del paesaggio, la gestione oculata degli impianti, nonché la bonifica del territorio quando essi avranno raggiunto l’obsolescenza tecnica.
Coldiretti ha espresso più volte una posizione chiara appellandosi a chi ha la responsabilità di autorizzare la realizzazione di tali opere.
“Si condivide appieno l’opinione in base alla quale la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili, ed in particolare la tecnologia fotovoltaica, debba essere promossa in ragione di tutti i numerosi benefici che è in grado di produrre e che non staremo qui a ricordare – spiega Bruno Rivarossa, direttore Coldiretti Piemonte -.
Ciò nonostante ogni progetto deve essere attentamente valutato in riferimento alle dimensioni degli impianti e alle aree in cui vengono proposti, alla luce di un obiettivo bilancio tra costi/benefici (anche ambientali) che lo stesso è in grado di produrre, considerata la possibilità di realizzarli in ambiti ove gli effetti negativi possano essere ridotti al minimo”.
“Il paesaggio – aggiunge Paolo Rovellotti, presidente Coldiretti Piemonte – oltre ad essere un bene collettivo rappresenta una necessità sociale in quanto elemento identificativo per chi vi abita. Tutte le politiche di marketing territoriale prendono le mosse da questa risorsa e non può esistere un progetto di valorizzazione del territorio in assenza di un preciso piano di tutela e valorizzazione del paesaggio: ancor più se ci si riferisce al paesaggio agrario, unico elemento di naturalità ancora presente nelle aree di pianura piemontesi per le quali le aree rurali rappresentano il 60% del territorio”.
La disponibilità di terre fertili costituisce una risorsa limitata e non rinnovabile, continuamente soggetta ad erosione (spesso non si tratta di uso ma di abuso) perpetuata a ritmo di costanti varianti ai piani regolatori adottate per ampliare l’edificato o comunque la cementificazione, sempre ai danni dell’agricoltura.
Negli ultimi 40 anni l’Italia ha perso oltre 5 milioni di ettari di terreni agricoli ed il Piemonte non costituisce certo un’eccezione avendo raggiunto veri e propri livelli di emergenza, come dimostrano recenti rilevamenti eseguiti da un gruppo di lavoro costituito presso la Regione Piemonte.
Dalle verifiche compiute emerge che la somma delle superfici dei terreni appartenenti alle prime tre classi di capacità d’uso costituisce solo il 36% della superficie agricola piemontese e, dato ancor più preoccupante, tra il 1991 ed il 2005 sono stati sottratti all’agricoltura 14.584 ha di terreno appartenente a tali categorie di fertilità.
Le strategie di intervento per frenare questo processo non possono che prevedere, in tempi brevi, una convinta adozione di politiche di pianificazione che impongano una moratoria nel consumo di suolo.
D’altro canto, ancora recentemente, la Regione Piemonte nel Piano Energetico Regionale ha evidenziato come, nei terreni la cui capacità d’uso risulti di I, II o III classe, sia quanto meno inopportuna la realizzazione di impianti fotovoltaici a terra adottando a tal fine una procedura tecnica per valutare a livello di particella catastale la classe di capacità d’uso del suolo.
Occorre considerare inoltre come, anche trascurando l’enorme disponibilità di coperture di edifici per le quali la decisione di realizzare impianti fotovoltaici spetta evidentemente ai proprietari, la potenza installabile nelle aree già degradate, quali ex zone industriali, discariche esaurite, recuperi ambientali di cave ecc. ecc., risulta comunque rilevante ed in grado di soddisfare appieno le necessità della nostra regione.
Lo stesso Piano Paesaggistico Regionale in vari punti evidenzia la necessità impellente di tutelare il paesaggio agrario evitando di realizzare opere ed infrastrutture che contrastino con i connotati identitari dello stesso.
“Desideriamo inoltre evidenziare – continua il direttore regionale della Coldiretti – che nella maggior parte dei casi le ipotesi che spesso sentiamo formulare o che leggiamo sui giornali relativamente alla possibile convivenza, sullo stesso sito, dell’attività agricola con i parchi fotovoltaici, risultano infondate.
Difficilmente una piantagione arborea potrà coesistere con un parco fotovoltaico per via dell’ombreggiamento che ne deriverebbe all’impianto stesso ed anche l’ipotesi di utilizzare i pannelli come reti antigrandine pare poco realistica considerato lo scadimento quali – qualitativo che subirebbe la produzione per via dell’ombreggiamento.
Considerazioni analoghe valgono per le cosiddette “serre fotovoltaiche” che in molti casi sembrano essere pensate più per millantare un’inesistente integrazione architettonica piuttosto che per soddisfare reali esigenze agronomiche.
Non fanno eccezione nemmeno le coltivazioni erbacee per le quali occorrerebbe quanto meno garantire il transito delle macchine agricole, condizione teoricamente realizzabile soltanto a condizione, a parità di potenza installata, di incrementare la superficie interessata dall’impianto”.
“E’ d’altro canto più che noto – conclude il presidente Rovellotti – che la vita media di questi impianti è superiore ai venti anni, più probabilmente trenta, e che le strutture richieste per la loro realizzazione rendono la trasformazione del suolo sostanzialmente irreversibile.
Queste dunque le ragioni che ci spingono a chiedere maggiore attenzione e rispetto per quel po’ di terre fertili che ancora esistono nel nostro territorio”.