“A due anni dalla scomparsa di Marello Giovanni, maestro tappezziere, nostro caro amico e memoria di Canelli, – racconta la canellese Gianna Menabreaz – ho continuato la ricerca su Mario, quel suo zio adorato, fratello di sua madre, per cui aveva tanto sofferto, quando aveva saputo di come era morto nei Lager nazisti.
Di Mario solo da poco abbiamo trovato il suo ricordino di morte per cui siamo risaliti ad una sconvolgente storia.
Mario Tealdo, uno dei 130 soldati Italiani che vennero impiccati il 27/28 marzo 1945 Hildesheim ( Hannover).
Mario Tealdo, secondo figlio maschio di Giovanni e di Maddalena era nativo di Vesime. Suo padre era partito per la prima guerra mondiale lasciando la moglie, forte e coraggiosa, che doveva mantenere cinque figli e mandare avanti la piccola proprietà terriera, nel più grande bisogno. Giovanni era tornato poche volte a casa e l’ultima volta era partito con un triste presagio; compiendo l’ultimo atto d’amore con l’adorata sposa aveva concepito l’ultimo figlio di cui non aveva mai saputo l’esistenza. Il padre era morto nel 1917 un mese prima della sua nascita. ma se ne era venuti a conoscenza anni dopo, per mezzo di una lettera listata a lutto ed una misera pensione. Per tutto il tempo della gravidanza Maddalena aveva sospirato per le grandi tribolazioni ed alla nascita del figlio gli aveva imposto il nome di Giovanni Sospirato. Mario fin da piccolo aveva partecipato ai lavori in campagna ed era diventato un umo forte e poderoso che lavorava dall’alba al tramonto e nel mantenere questo ritmo era sempre affamato. Appena sentiva provenire il profumo del pane che il fornaio stava sfornando, partiva col sacco del pane e ritornando si divorava una di quelle pagnotte grandi del peso di almeno mezzo chilo. Con lo scoppio della seconda guerra mondiale, Maddalena che si era dal poco ripresa dalla sua inquietudine, ricadde nell’angoscia. Uno alla volta dovette veder partire i suoi tre figli maschi per diversi campi di battaglia in Italia ed all’estero. Mario rimasto a vivere con sua madre aveva diritto di sostenerla, ma venne per ben dieci volte richiamato. Sua madre correva a fare ricorso fino a quando, dopo aver sposato la ragazza che amava era stato spedito nelle lande gelate della Russia. Nel ’43 venne catturato dai tedeschi che lo avevano condotto nei Lager, dove era morto senza sapere di aver generato sua figlia. Lasciò un gran vuoto nella casa e le donne schiantate dal dolore che si fosse ripetuto lo stesso destino di suo padre.
Nel lager di Hildesheim erano costretti a vivere peggio delle bestie, a lavorare, a non nutrirsi a soffrire freddo e fame erano diventati l’ombra di loro stessi perdendo dignità ed umanità. Era la fine marzo del 1945, per i tedeschi la guerra era persa, ma gli eventi avevano peggiorato la loro crudeltà. Gli americani avevano bombardato a tappeto le città e quegli uomini miseri era stati costretti a liberare dalle macerie, a estrarre e poi a sotterrate i morti e portare aiuto ai feriti.
Accompagnati dai soldati della Wehrmacht, quel giorno erano intenti a fare il loro lavoro quando giunsero in un luogo dove era stato colpito un grande magazzino miliare di provviste. La gente del popolo, affamata anch’essa, era accorsa ed anche i prigionieri non avevano più avuto timori nel gettarsi sulle scatolette bruciacchiate per divorare quel cibo. Le loro sentinelle avevano ceduto ad un moto di pena e avevano permesso che si sfamassero. Prima di ritornare al campo si erano riempiti le tasche di scatolette di formaggio. Ritornati nelle loro celle sotto il comando della Ghestapo e delle S.S. erano stati perquisiti e condannati a morte in centotrenta. In base alla legge marziale, ogni azione di “sciacallaggio” era punita con la morte.
Mentre stavano ritornando, delle donne li avevano avvertiti del pericolo ed in molti avevano gettato il loro prezioso cibo, ma Mario e gli altri non avevano potuto separarsene perché nella loro mente ottenebrata dalla fame, ogni timore di morte li aveva abbandonati. Insieme a Mario c’era un suo lontano cugino che invece si era salvato. Ma non aveva mai trovato il coraggio di parlare di quella tragedia che lo aveva segnato per la vita. Come dire alle tre donne che fine atroce aveva fatto Mario?
Solo anni dopo in seguito ad un articolo della stampa del 1990 si era confidato con un nipote piangendo. Sconvolto gli aveva portato l’articolo del giornale “La stampa” che parlava del fatto a cui aveva assistito. I giovani, 130 uomini italiani erano stati impiccati nel giro di due giorni, in gran fretta.
Alcuni popolani avevano assistito plaudendo ai crudeli assassini sghignazzanti, comandati da un funzionario della Ghestapo e dal comandante Huck. Dietro il cimitero avevano costruito una grande struttura per le esecuzioni con sei forche. Obbligarono i condannati a sdraiarsi per terra in attesa di salire al patibolo. Una volta venuto il loro turno, tirare per i piedi i compagni che li avevano preceduti per anticiparne la morte quindi li staccavano dalla corda per prendere il loro posto. Gli ultimi li lasciarono appesi alla forca con un cartello su cui era scritto:” chi saccheggia muore”.
Quel cugino era rimasto sconvolto perché era stato uno di quelli obbligati a togliere gli sgabelli dai piedi dei loro amici tanto sfortunati. I prigionieri non condannati a morte, con grande fatica avevano dovuto scavare una fossa comune per seppellire quel grande numero di impiccati.
La testimonianza del parente era continuata con il raccontare che all’arrivo dei liberatori avevano fatto riaprire quella fossa ed avevano fatto fucilare i loro assassini. Per i testimoni l’orrore non finiva mai perché era passato un po’ di tempo dal fatto ed i compagni erano irriconoscibili.
Sul giornale c’era anche la fotografia che i criminali avevano scattato per vantare le loro crudeltà, insieme ad altri quattro si vedeva il corpo di Mario ben riconoscibile anche se penzolava talmente macilento nel pigiama righe.
Oggi vorrei aggiungermi ai tanti che possono ancora ricordare questo fatto per dare alla loro storia quella visibilità che non hanno mai avuto prima e questo sia di consolazione di chi ha perso così ferocemente i suoi cari.”