>> Di ritorno dall’Eritrea, il dott. Pierluigi Bertola racconta

Pubblichiamo per intero il racconto del dott. Pierluigi Bertola sul suo ultimo viaggio umanitario che lo ha portato, nel marzo scorso, in Eritrea, un paese che “ti rimane nel cuore anche perché ti ricorda l’Italia come eravamo noi anni fa.”

«Quest’anno la Cooperazione internazionale solidarietà sanitaria, con sede a Canelli, ha portato circa 2 tonnellate di materiale sanitario fra cui le lampade della sala operatoria dell’ex ospedale di Asti per un ospedale di Asmara in Eritrea.

Il furgone messoci a disposizione grazie al sempre premuroso ragionier Bodriti della concessionaria Garelli dell’Iveco di Asti, sempre sensibile a queste iniziative, è stato imbarcato a metà febbraio a Genova e a fine marzo è arrivato in Eritrea al porto di Massawa sul mar Rosso, dopo una sosta in Arabia Saudita.

Per il viaggio via mare dobbiamo ringraziare la compagnia di navigazione di Genova Messina, nelle persone dei signori Roberto Merello e Andrea Ficarra, che anche questa volta sono stati molto presenti ed efficienti.

Il geometra dell’ASL Riccio Piergabriele, da poco in pensione, mi ha accompagnato in questo viaggio.

Arrivati a Khartoum, in Sudan,  abbiamo visitato il nuovo ospedale di Gino Strada “Salam” centro di cardiochirurgia fiore all’occhiello della Ong Emergency e realizzato in tempi da record  con soluzioni ingegneristiche ultramoderne rispettando l’ambiente; c’è addirittura un sistema per filtrare l’aria polverosa del deserto e raffreddarla il tutto senza spendere un euro di corrente ma con pannelli solari! Mi hanno fatto assistere ad un intervento di sostituzione di 2 valvole al cuore con circolazione extracorporea in una giovane ragazza, intervento fra i più difficili e delicati ma compiuto con una maestria che rivela grande professionalità.

Ho notato in tutto il personale tecnico, nella stragrande maggioranza italiano, una rara tranquillità, uno spirito cordiale ed aperto. Anche nelle ore di sosta o di svago il personale vive insieme, l’ospedale si trova nella periferia sud della città molto distante dal centro.

Dopo aver comperato farmaci con i soldi raccolti per un piccolo centro medico alla periferia della città, partiamo con un lussuoso pullman di linea per Kassala, vicino alla frontiera con l’Eritrea (oltre 800 km di deserto). Ci servono una ottima colazione ed un buon pranzo sudanese. Si alternano carretti trainati da asinelli che trasportano cipolle o sacchi di farina, rari villaggi con case di paglia o in muratura, numerosi pastori che conducono pecore, capre, rare mucche e cammelli.

La strada fino al confine eritreo corre lungo la ferrovia abbandonata attraversando posti di rara bellezza e fascino orientale specie al tramonto, gli alberi sono molto rari tranne qualche arbusto secco.

Giunti a Kassala, dobbiamo servirci di un taxi che ci conduca alla frontiera. Siamo stanchi anche perché l’acqua scarseggia, non vogliamo comperare quella non sigillata e per arrivare alla frontiera l’autista del nostro taxi ci ha fatto fare stranamente circa 50 km di pista, abbiamo avuto più volte il dubbio che avesse sbagliato strada ed in quei posti, quando si alza il forte vento, non si vede più nulla e la paura cresce. Dopo circa 1 ora e mezza, finestrini chiusi per la polvere, caldo sui 40 gradi, ci sembra di essere 2 polli arrosto.

Si arriva alla frontiera che la nostra ambasciata ci aveva detto essere chiusa per gli stranieri, i militari vedendo che siamo operatori umanitari, pur con mille difficoltà, ci fanno entrare in Eritrea ma dobbiamo fermarci a Tesseney,  cittadina al confine perché, a quell’ora, il traffico sulle strade si ferma ed è meglio riposarci dopo una bella doccia fredda.

Tantissimi giovani sono seduti al bar a bersi una bevanda non alcoolica, ridono, scherzano, ma in modo contenuto.
Alle prime ore del mattino, ripartiamo con un pulmino ma dopo numerosi posti di blocco i militari fanno scendere solo noi due perché sforniti di un locale lasciapassare ed il pulmino riparte. La tensione aumenta e dopo 3 ore mi sfogo con un funzionario che per fortuna si mantiene calmo e ci fornisce di un lasciapassare.

Verso sera, siamo ad Asmara. La città ci accoglie con i suoi bellissimi alberi dagli azzurri fiori.
La gente particolarmente dolce e tranquilla si fa in 4 per aiutarci, un breve saluto ai cappuccini, doccia fredda siamo ad oltre 2300 metri, cena piccante eritrea e poi a nanna. Il mattino successivo incontriamo per caso un vero filantropo di origini italiane, medaglia di ciclismo alle olimpiadi di Roma del ’60, Giovanni Mazzola, che ci accompagna al Ministero della sanità per sdoganare il furgone.

Al termine della mattinata ci viene detto che lo sdoganamento avrà dei tempi biblici! Decidiamo di andare al porto di Massawa, incantevole città dal sapore fiabesco orientale, ricca di fascino per i suoi numerosi edifici storici. Qui, al porto, vediamo il furgone ma non possiamo portarlo fuori per i soliti cavilli burocratici.

Il giorno successivo andiamo a trovare i salesiani a Dekemhare a sud di Asmara e rimaniamo colpiti dalla scuola professionale ben attrezzata in cui l’ordine e la pulizia regnano sovrani. Comperiamo medicine per un centro medico della città che un tempo era la più industriale dell’Eritrea.

Anche all’Ambasciata italiana siamo accolti calorosamente dall’addetto militare, un giovane colonnello che la sera ci invita a cena.
Nel centro di Asmara, alla casa degli italiani, anche sede Ana, dove si respira un’aria casalinga grazie all’interessamento di mio fratello Gian Carlo in Italia riusciamo a fare una diretta con radio Veronica di Torino che ci segue sempre in questi viaggi.

L’Eritrea ricorda molto l’Italia, nei suoi ristoranti si mangiano degli spaghetti al dente unici all’estero, mentre i cappuccini con 2 dita di panna sono insuperabili.
La gente ha la stessa nostra cordialità e cerca di industriarsi in mille modi, pur di guadagnare qualche cosa, perché anche qui la vita non è facile.

Le principali strade, anche quelle più ardite, sono state costruite da italiani come la ferrovia, i numerosi ponti, le terme, il porto,l a teleferica portata via dagli inglesi, che collegava Asmara a Massawa con una lunghezza di 65 km. in linea d’aria.

Una sera, mentre passeggiavo per Asmara città fra l’altro molto sicura anche di notte, vengo avvicinato da uno sconosciuto che mi chiede se sono io quel medico che 6 mesi prima aveva ricevuto un premio nazionale come alpino. Si ricordava di avere visto la mia foto sulla rivista mensile “L’Alpino”.
Anche da queste parti gli alpini sono ben visti!

Prima di partire riusciamo a contattare un dirigente medico della sanità in Eritrea e gli proponiamo un gemellaggio fra l’ospedale di Asti Massaia ed un ospedale di Asmara che lui accetta.

Le luci della città diventano sempre più piccole man mano che l’aereo si allontana, mi rimane in bocca il buon sapore del cappuccino con brioche che eravamo soliti gustare al caffè “Impero” e il ricordo  dello sguardo dolce dei bambini.»

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