In un anno il numero delle aziende agricole astigiane ridotto del 7%

Qualche giorno fa il presidente della Camera di Commercio di Asti, Mario Sacco, ha fornito i numeri dell’economia astigiana. Una situazione di sofferenza, con molti segni “meno”, che riflette la crisi nazionale e internazionale, con molte incognite e numeri che preoccupano.

Segno “meno” anche per i dati relativi alle aziende agricole che, secondo i numeri della Camera di Commercio, nel 2004 erano 9.521 e nel 2013 si sono ridotte a 6.952 (-27%) con decremento, solo nell’anno tra il 2012 e il 2013 di ben 513 unità, pari quasi al 7%.

«Ma i numeri vanno calati nella realtà agroeconomica in continua evoluzione» avverte Massimo Forno, presidente di Confagricoltura Asti che spiega: «Anche l’agricoltura astigiana sta cambiano pelle. In senso assoluto i dati della Camera di Commercio indicano la diminuzione delle aziende agricole, ma questo accade a causa di un salto generazionale e per l’accorpamento dei fondi. Il fatto cioè che molti agricoltori siano anziani e pensionati non più in grado di portare avanti la loro azienda o giustamente decisi, dopo una vita nei campi, ad uscire dalla vita lavorativa, ha favorito l’accorpamento delle aziende agricole. Un dato per tutti: dieci anni fa la superficie tipo di un’azienda agricola astigiana era di 2/3 ettari, oggi è di 8/10. È il segno evidente della lenta ma inesorabile deparcellizzazione della superficie coltivata. Una volta le piccole aziende rurali erano la spina dorsale dell’agricoltura astigiana. Oggi “piccolo” non è bello e soprattutto non paga».

Nonostante questo Forno segnala un disagio forte legato al lento invecchiamento della classe degli agricoltori astigiani e al graduale depauperamento di alcune coltivazioni. «Ci sono aree che stanno andando verso una sorta di desertificazione agricola – sostiene -. Vuol dire che a fronte di fondi agricoli abbandonati a sé stessi, perché l’agricoltore proprietario è troppo anziano o deceduto o, come sta accadendo in larghe aree sulla sponda destra del Tanaro, ci sono coltivazioni non più remunerative, penso alle uve rosse, i campi lasceranno piano piano il posto al bosco e al gerbido. È una situazione che, almeno fino ad oggi, non ha rimedio».

Quanto alla disoccupazione Forno non ha dubbi: «Dei 9500 disoccupati astigiani l’Agricoltura non ne intercetta che una infima parte perché – annota – ormai la stragrande maggioranza dei coltivatori agricoli sono stranieri di cui molti extracomunitari».

E sull’incremento del dato relativo alle strutture turistiche (agriturismo, b&b, alberghi e ristoranti), che sono passate in quasi un decennio da 883 a 1.399 di cui 37 nuove solo dal 2012 al 2013 il presidente di Confagricoltura Asti resta cauto: «Bisognerebbe analizzarlo a fondo verificando quanti sono i titolari nuovi, quanti sono i giovani. Quanti si affidano all’agriturismo con cognizione di causa, magari usufruendo della casa dei nonni. Parametri da approfondire, che potrebbero darci una fotografia più netta di un settore così legato al paesaggio e alle nostre produzioni agroalimentari».