Venerdì 21 marzo, alle ore 21, a Canelli, nel Salone della Cassa di Risparmio di Asti, si terrà la conferenza “Noi, Europa” sulle prospettive dell’Unione Europea in vista delle elezioni di maggio e del semestre di Presidenza italiana.
La conferenza, organizzata dall’Associazione Memoria Viva e patrocinata dal Comune di Canelli, vedrà quale relatore d’eccezione il giovane canellese Antonio Scarazzini, moderatrice Paola Bottero, esperta di affari comunitari.
Antonio Scarazzini, 25 anni, ha conseguito la Laurea Magistrale in Scienze Internazionali – Studi Europei all’Università degli Studi di Torino ed è direttore di Europae. Rivista di Affari Europei (www.rivistaeuropae.eu).
Di seguito l’editoriale da lui firmato nell’ultimo numero della rivista: “L’Europa della stabilità”.
«Era da almeno un paio di anni che a Davos non si parlava di Europa senza scommettere sulla brutalità della sua dissoluzione. Un sorriso da una parte, una battuta dall’altra, l’ottimismo dato per disperso è tornato a far capolino nei corridoi del World Economic Forum.
Prendete Manuel Barroso: solo un anno fa abbarbicato nell’eterno dilemma austerità sì – austerità no, oggi nei salotti elvetici il presidente uscente della Commissione parla con fare rilassato, racconta di un Vecchio Continente che torna alle coste più quiete, scampato ai marosi finanziari. Poi si ricorda del vecchio adagio e cita addirittura Helmut Kohl: “nessun Paese può vivere a lungo al di sopra dei propri mezzi”.
E’ l’elogio della stabilità. Quella finanziaria, cui fa il suo doveroso ossequio il Ministro tedesco delle Finanze Schauble, che tanto sembra calma piatta, come la curva del PIL … Quella politica, che a Davos sembra aver preso la via del Nord con i Cameron, i Kenny e i Reinfeldt di turno a mostrare al resto d’Europa come si fa a piacere ai mercati e – a volte non guasta – pure ai propri cittadini.
L’Europa è tornata, l’Europa è stabile. Ci prova l’Italia a dare qualche sussulto, tra ghigliottine e leggi elettorali, ma non c’e più gusto: le fibrillazioni da ribaltone sono lontane e un premier italiano può addirittura permettersi di vendere stabilita in cambio di quote di compagnie aeree.
Anche l’euro è stabile. Dosi da cavallo di aggiustamento fiscale sembrano aver dato forti anticorpi alla moneta unica, la febbre per il dollaro non preoccupa più del dovuto e dalla crisi dei Paesi emergenti, forse, per una volta, ci sarà pure da guadagnare.
L’Europa non cade più. Ma neanche si muove. Tanto concentrata nel fermare la caduta, si è fatta trovare impreparata al restart e, anzi, a Bruxelles si è pure fermata, o quasi. Sonno elettorale, in vista di quel che sarà, sperando che le urne non trasformino le vie di Bruxelles in avamposti carbonari pronti a smantellare l’Unione Europea.
L’Europa sonnecchia, sopravvive nella sua quieta disperazione, per dirla con i Pink Floyd.
Disperazione che deflagra ai suoi confini: a Kiev non si combatte (ancora) per l’Europa, ma è vero che si lotta per ciò che l’Europa rappresenta: libertà, giustizia, democrazia.
Strano ma vero, non c’è bandiera che sventoli per la stabilità. Per definizione, non c’è stabilità nel mutamento: non c’è stata nel Nord-Africa, dove più volte l’Europa ha spostato un po’ più in là il paletto della tolleranza, barattando la sicurezza dei propri confini con la sopravvivenza di regimi indifendibili. Non vi sarà in Ucraina, che ha bisogno di un’altra rivoluzione arancione per vincere una volta per tutte il male dell’autoritarismo.
L’Europa della stabilità in sé e per sé non funziona: la storia ha insegnato che l’integrazione europea funziona come processo evolutivo. Calcisticamente parlando, quando il Vecchio Continente arretra in difesa dello status quo, il catenaccio traballa e, nel turbinio della crisi finanziaria, i leader europei hanno badato più a salvare la panchina che a un posto per le coppe.
Con le elezioni di maggio, il turnover ai posti di comando dell’UE è ormai alle porte: per l’Europa è arrivato il momento di ricordarsi come si gioca d’attacco».